

Stelle
C’è questo mio amico che abita all’incrocio tra due vie che quando eravamo bambini non sapevi mai da che parte andarlo a trovare, perché a volte arrivavi e sua madre ti diceva che lui aveva appena voltato l’angolo dall’altra parte e allora dovevi aspettare che rientrasse a casa per incontrarlo, altre volte era lui a guardare dalla finestra per vedere se c’era qualcuno per giocare e noi per fargli dispetto correvamo da una via all’altra, così se guardava nella via sbagliata non trovava nessuno.
Adesso invece con i cellulari è più facile trovarsi e poi ci siamo dati una regola per cui, quando si va a casa sua, si arriva sempre dalla stessa via.
Che poi oggi in quella via lì ci trovi un bel confronto fra le persone che ci hanno sempre abitato, come la signora anziana dell’ultimo piano che ama l’opera lirica però è sorda, e nuovi arrivati di tanti paesi e se apprezzi la cucina etnica hai anche varietà di scelta. Solo che spesso non c’è questa integrazione che uno si aspetta, anzi i vari gruppetti sono separati e spesso si guardano storti stando in silenzio.
Come quella sera che ero passato a prendere il mio amico che abita all’angolo, era estate con il caldo e le stelle che lucevano, dalle finestre aperte si poteva pienamente condividere con la signora dell’ultimo piano l’ascolto di Domingo che, ormai prigioniero, sogna di incontrare Tosca e immagina schiudersi l’uscio dell’orto. Gli altri rumori erano più contenuti, un paio di autoradio, una televisione lontana e il chiacchiericcio proveniente dal negozio di kebab, ad eccezione di un signore in canottiera da basket e berretto da baseball girato al contrario che, agitando una bottiglia, discuteva animatamente con un altro signore più scuro con un lungo camicione e che probabilmente era indiano.
Insomma nella via c’erano questi due che alzavano la voce e il primo, quello con il berretto girato al contrario, ha anche iniziato ad imprecare contro l’altro che a sua volta si era messo ad urlare verso il negozio per convincere gli avventori con la sua oratoria e, intanto che lui cercava proseliti e dalla finestra invece s’era arrivati alle “languide carezze”, l’altro aveva alzato il tiro iniziando anche a bestemmiargli i morti, che non è mai un bel gesto soprattutto se lo fai ad un indù, ché lui prima o poi spera di rivederli i suoi morti, anche soltanto sotto forma di agavi o di scoiattoli. Arrivati al punto in cui Domingo, fremente: “le belle forme disciogliea dai veli” l’indù con un gesto poco shanti ha fatto capire all’interlocutore che era meglio che si togliesse dai marroni che se no i morti da bestemmiare aumentavano.
Comunque alla fine il teatrino nella via si è ricomposto e anche il terzo atto dalla finestra aperta si stava avviando alla sua naturale conclusione.
Beh io non so se è stata una combinazione che avevo scordato il cellulare o se, per colpa del frastuono della via sommato alla fucilazione dall’ultimo piano il mio amico non ha sentito suonare il campanello, ma quella sera lì non l’ho mica trovato.